martedì 16 settembre 2014

Lavoro: a quando il cambiamento di verso?

Oggi, con le attuali leggi sul lavoro si può fare di tutto: disdire il contratto nazionale ed imporre un contratto privato al ribasso sia come denaro che come diritti; chiedere la riduzione degli stipendi del 10/30 %; si può cancellare diritti acquisiti o fare contratti di solidarietà con riduzione fino al 40% dell'orario di lavoro; si può licenziare in caso di crisi senza grossi problemi. Manca solo l'abolizione dello statuto dei lavoratori (in particolare dell'articolo 18) ed il ripristino della schiavitù e si è toccato il fondo.
A che serve aver dato 80 euro ai lavoratori più disagiati quando poi le proposte che si fanno vanno verso la riduzione dei salari e dei diritti? 

Dov'è la giustizia e l'equità sociale?
I lavoratori dipendenti sono quelli che stanno pagando il prezzo più alto per la crisi economica e molti oggi sono senza lavoro e senza copertura degli ammortizzatori sociali, disperati perché la ripresa non accenna a venire.
C'è bisogno di una riforma del lavoro e di un piano industriale nazionale che permettano il rilancio dell'economia e la creazione di nuovi posti di lavoro.
Di proposte serie ce ne sono: contratto unico (tempo indeterminato) a tutele crescenti, la riduzione concordata dell'orario di lavoro: lavorare di meno per lavorare tutti. Altre vanno cercate e concordate con le parti sociali (sburocratizzazione, organizzazione del lavoro, riduzione della tassazione, ecc...).
Non vedo niente di tutto questo nell'azione e nelle proposte del governo: solo il desiderio di compiacere gente come Alfano e Sacconi che sono tra i maggiori responsabili dello sfacelo economico in cui ci troviamo.
E per favore, basta con la tiritera dei lavoratori tutelati contro quelli senza tutele. Il precariato l'ha inventato la politica, non certo il sindacato. E non è togliendo a chi ha, dando poco o nulla a chi non ha, che si risolvono le disuguaglianze.

martedì 2 settembre 2014

Un'altra idea di scuola è possibile - Da “Una collana di perle dal Sudafrica” di Monica Gozzini Turelli

PARTIRE
Era un giorno all’inizio di un’estate, passeggiavo fuori dal cortile della scuola. 
Fermandomi sotto il portico, presso la finestra di una classe attendendo il mio turno di ricevimento, udii le parole pronunciate da una professoressa, allorché illustrava ad una madre la situazione del figlio che stava finendo la terza classe della scuola media. 
Prima di tendere l’orecchio all’ascolto del significato delle parole, mi lasciai cullare dalla melodia, dal tono e dalle inflessioni della voce dell’insegnante, che stava suggerendo ed indirizzando il genitore alla scelta della scuola superiore del figlio. 
Le parole hanno strati di significati, e a volte il come si dice, riporta un significato diverso da ciò che si dice. -Ah-, disse la professoressa alla madre seduta in ascolto, -suo figlio Gabriele è senz’altro da liceo!-. 
La voce della professoressa era squillante, il portamento eretto, petto gonfio, si poteva leggere anche dalla postura del corpo una dichiarata soddisfazione. Gabriele doveva essere quel tipo di alunno bravo, che rende orgoglioso l’insegnante. 
L’insegnante si sentiva appagata, sembrava proprio felice. 
Poi arrivò il turno della madre di Silvano e la professoressa questa volta usò un tono confidenziale, quasi sommesso, come quando si sa che ti è capitata una sfortuna, ma vuoi sdrammatizzare e dire all’altro, che se anche ti è capitata una sfortuna, in fondo, in tutto c’è qualcosa di buono... 
-Silvano è un bravo ragazzo, buono...ehm...fa fatica. Premetto che noi abbiamo